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Libro degli Ospiti

Testimonianze di persone che , direttamente o indirettamente, hanno fatto l’esperienza del cancro,  quale strumento e mezzo per comprendere quanto la malattia comporti a livello individuale, spirituale, esistenziale, interpersonale, familiare e lavorativo.

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Ospite: Vivere ogni giorno è una conquista

Quante volte ho sentito dire questa frase, ma non riuscivo mai a darle  un senso.Davo tutto per scontato, tutto mi era dovuto, tutto procedeva nella normale quotidianità; presa a fare la mamma 24 su 24, tutto ciò che poteva succedere al di fuori della mia famiglia,bella o brutta che sia, mi coinvolgeva in maniera superficiale. Pensavo che le cose brutte a me non potessero mai capitare, era come se io fossi spettatrice di un mondo che non mi apparteneva, quando un giorno, come potrei dimenticarlo, ci fu l’inizio di un lungo calvario, il quale avrebbe cambiato totalmente la mia vita.

Giugno 2006

Era un pomeriggio di primavera, il sole era caldissimo e quel giorno uscii di casa, poiché mi prendevo cura di mia madre, affetta dall’Alzheimer. Approfittai  quindi della bella giornata per fare due passi insieme a lei. La malattia l’aveva fatta tornare bambina, e quindi era capricciosa, irrequieta, curiosa... Presa da uno dei suoi tanti capricci,voleva a tutti i costi tornare a casa .La giornata era troppo bella, non volevo rientrare, così le proposi di  portarla da Sara, la più piccola delle sue tante nipoti. Il pomeriggio proseguì tranquillamente, mia madre si calmò presa a giocare con Sara, ed io ne approfittai per rilassarmi davanti ad una bella tazza di caffé, quando ad un tratto sentii una fitta così forte al seno che mia cognata, presa dallo spavento, mise la mano dove sentivo dolore e mi guardò spaventata. Ricordo ancora le sue parole:-“Da quanto tempo hai questo gonfiore?”Io, tranquilla, le raccontai che erano  mesi e che non sempre era così gonfio tanto da attribuirlo ai continui sforzi che facevo per accudire mia madre. Ricordo ancora mia cognata: non convinta del mio racconto, mi propose di recarmi dal medico per un controllo. Io non volevo, ma lei insistette così tanto che non potei fare a meno di accontentarla. Continuavo a ripeterle che stavo bene ,e che sarebbe stata una perdita di tempo. Il giorno seguente andammo dal medico,il quale mi visitò scrupolosamente e mi propose di fare l’ecografia  e successivamente una mammografia. Chiesi il motivo, dato che non ancora mi rendevo conto di cosa stava succedendo. Il medico rispose che erano dei semplici esami e che non dovevo preoccuparmi.
La sera, mentre preparavo la cena, cominciarono a sorgermi tanti dubbi, fu quella sera che presi visione di cosa poteva succedermi, ma dentro di me pensavo:-“ Che sarà mai”. A mio marito non dissi nulla, non volevo preoccuparlo inutilmente.
Insieme a mia cognata, andai a fare l’ ecografia. Il medico non parlava, era silenzioso, il che mi fece pensare che avevo ragione, non avevo niente. Mi diede il referto e aggiunse:-“Signora prenoti anche da oggi una mammografia; potrà venire domani pomeriggio, in modo che ci sarà anche la dottoressa che le leggerà le lastre”. A queste parole, cominciai a rendermi conto che c’era qualcosa  di serio e che ne avrei dovuto parlare con mio marito. Feci la mammografia, stavolta fui accompagnata da mio marito. Mi risuonano ancora nella testa quali furono le parole:-“Signora!-Si? --Venga, si accomodi devo parlarle!Signora da quanto tempo ha questo gonfiore? -Quasi da un anno me ne sono accorta, perché, cosa c’è che non va? - Cosa c’ e’ che non va? Lei non si rende conto di cos’abbia! Si tratta di un  nodulo di circa 3 cm e mezzo, e da come stanno le cose, deve sbrigarsi a fare l’ intervento chirurgico al più presto, perchè mezzo seno va via”. Quello fu il giorno piu’ brutto della mia vita. Guardai mio marito, era rimasto immobile. Io non sapevo che fare, se piangere o far finta di niente; siamo rimasti immobili senza spiccicare una parola. Così, silenziosamente siamo ripartiti in auto. Mio marito non parlava e io ero circondata da mille pensieri. Avrei voluto piangere, ma non potevo, non riucsivo a parlare con mio marito e tanto meno a guardarlo negli occhi. Sapevo che una volta tornata a casa, avrei dovuto affrontare l’argomento con le mie figlie,- “Cosa faccio, non dirò niente! Sono ragazze, perchè devo sconvolgere la loro vita, non basta già  che sia sconvolta la mia?”.

Entrai in casa e le ragazze mi videro strana. Io  non riuscii a guardarle, ed e’ stato più forte di me: corsi in camera mia,  mi chiusi a chiave  e cominciai a piangere, piangere… non finivo più. Naturalmente le ragazze non avevano capito niente, così,
dopo aver smesso di piangere, mi sentii chiamare:-“Mamma, mamma,cosa fai chiusa in camera?”-Cercai di riprendermi, non volevo parlare con loro. Mi asciugai  il viso e andai in cucina, come se niente fosse, e ripresi fare la mamma. Cucinai, misi in ordine la cucina e, quando sistemai tutto, tornai ad isolarmi. Mio marito rimase troppo sconvolto e per un po’ non ci siamo rivolti una parola. Quando le ragazze uscirono e restammo soli in casa,  rompemmo il ghiaccio; qualcosa si doveva fare e subito. Mio marito iniziò a fare tante telefonate  ad amici e conoscenti. Voleva a tutti i costi sapere a chi rivolgersi. Il medico di base propose il centro ospedaliero di Larino, ma non mi convinceva e mi dicevo:-“Larino sarà in grado di aiutarmi, non lo so!”. Mi venivano in mente tante domande di cui non avevo risposta. Tutto era nuovo, sconosciuto, non sapevo proprio cosa fare. Nella mia famiglia, nessuno mai aveva avuto questo problema; ero l’unica. Che fare?
Passarono un paio di giorni e ancora niente. Nel frattempo la mia casa era diventata un centralino; il telefono squillava in continuazione, ognuno diceva la sua ma si arrivava a un  niente.
Fu in uno di quei momenti che mi ricordai di una signora che due anni prima aveva dovuto affrontare un problema analogo al mio. Naturalmente non la conoscevo bene, abitiamo nella stessa contrada ma con lei solo un saluto e via. Presi in mano la situazione e andai in camera mia, presi i referti e dissi a mio marito:-“Torno subito, non chiamare più nessuno”.
Il cuore mi batteva forte, sapevo di invadere la privasi, infondo non ci conoscevamo così tanto da potermelo permettere, ma io ho rischiato: <<chi mi può capire più di lei che ha vissuto già il problema? Chi più di lei può informarmi su che cosa avevo a che fare veramente?>> .
A lei avrei potuto fare tante domande ed avere le risposte.
Presa da tutti questi punti interrogativi, arrivai davanti il cancello della sua casa, suonai e da li iniziò tutto.
Non potrò mai dimenticare la sua disponibilità, gentilezza, e con tanta umiltà, riuscì a colmare tutti i miei dubbi, le mie incertezze, le mie paure.
Mi spiegò tutto, in poche parole mi aprì la strada,sì, quella strada che io definisco della salvezza.
Ora siamo diventate amiche.
Tornai a casa sapendo che avrei dovuto affrontare: un cancro.
Ne avevo sentito parlare tante volte, ma fino ad allora per me era qualcosa che non mi toccava, anche se mio padre è morto di cancro; ricordo la sua sofferenza, il dolore, ed io ero così arrabbiata che non potevo fare niente per aiutarlo, tanto che il cancro me lo portò via.
Pensai:-“succederà la stessa cosa anche a me”. Ero spaventata, ma in qualche modo dovevo reagire alla paura; pur a fatica, ma lo dovevo ai miei figli.
Pensavo:-“Cosa ne sarà di loro se mi succedesse qualcosa!-Loro hanno bisogno di me!- perché mi è successo questo?-Perché proprio a me?- Io sono sempre stata bene; cosa ho fatto di male per meritarmi tutto questo?”
Mentre le domande venivano una dietro l’altra, al contrario non trovavo le risposte.
Intanto presi in considerazione il luogo dove affrontare il mio calvario, lo stesso praticato tutt’ora dalla mia amica, la quale fu così gentile da prenotarmi una visita dal primario; fu così che ebbe inizio tutto, e sapevo che la battaglia era lunga e dolorosa.
Il primario disse :-“ signora, credo che lei lo sappia già: si tratta di un cancro”-
Mi vide preoccupata e poi aggiunse-“lo risolviamo”. Questa frase mi suonò così bene che fu per me come una raggio di sole dopo una tempesta.
Successivamente egli mi prenotò un day-hospital, per eseguire tutti gli esami necessari all’intervento chirurgico.
Naturalmente la diagnosi era ormai certa, <<carcinoma mammario>> di circa tre centimetri e mezzo; mi dissero che avrei dovuto attendere la chiamata per sottopormi all’intervento. Ricordo come furono tristi quei giorno dell’attesa; sembrava non finissero mai. Cercai sempre di non farmi vedere triste dai miei figli, anche semi resi conto era giunta l’ora di metterli al corrente di tutto. Che brutto giorno fu quello! Non avrei mai pensato di arrecar loro un così grande dolore. Cosa avrei dato per non farli soffrire, ma purtroppo non potevo fare niente e mi sentivo in colpa. Inizialmente le ragazze sembravano un po’ confuse; si ritrovarono ad avere a che fare con qualcosa di più grande e naturalmente le tranquillizzai. Feci di tutto per non turbarle, ma non credo di esserci riuscita fino in fondo.
Ricordo che nei giorni prima dell’intervento, la mia casa fu invasa di gente: parenti, amici, conoscenti, vicini di casa…Tutti vennero a darmi un segno di solidarietà, anche se per alcuni era solo semplice curiosità, comunque il mio stato d’animo era a pezzi: non volevo vedere nessuno, rimanere solo con il mio dolore…perché era il MIO dolore, e di nessun altro.
Nel frattempo venne il giorno del ricovero. Non lo potrò mai dimenticare: ero terrorizzata, ma cercavo di non darlo troppo a vedere. Mi chiedevo:-”cosa ci faccio qui? Chissà se ne riuscirò!”-poi guardai mio marito e i miei figlie pensai-“hanno ancora bisogno di me; devo farlo per loro”
Nel reparto conobbi altri pazienti, e quello fu un modo per distrarmi e guardarmi intorno. Accanto al mio letto c’era una ragazza poco più grande di mia figlia; mi sono detta:-“ O mio Dio”. Ad un tratto presi coscienza di tutto ciò che mi circondava, improvvisamente entrai in un altro mondo: il mondo dei malati. Non pensavo tanto dolore, tanta tristezza, ed io ero la, una di loro. Non ero più spettatrice, ma purtroppo protagonista del mio male.
Non mi rendevo conto che in realtà quello era solo l’inizio e che il peggio doveva ancora arrivare.
Intanto conobbi il chirurgo che mi avrebbe successivamente operata. Al primo impatto, rimasi un po’ scettica poiché giovanissima; tuttavia ben presto dovetti ritrarre tutto. Rimasi colpita dalla sua disponibilità, gentilezza, sensibilità e soprattutto il modo in cui mi mise a conoscenza di tutto ciò che avrei affrontato nell’intervento.
Ricordo quanta dolcezza mentre parlava; ne rimasi così affascinata, che per un attimo sparirono tutto le mie paure perché mi dicevo:-“sono in buone mani”.
Mi bastava vedere il suo sorriso e la serenità nei suoi occhi, che lei riusciva a trasmettermi fiducia, sì! , avevo bisogno proprio di fiducia, poiché era la mia vita che affidavo alle sue mani. Quel sorriso ,che mi accompagnerà in tutto il mio percorso. Proprio così poiché di interventi ce ne furono due,speravo di fermarmi al primo,e quindi di cavarmelacon quadrantectomia,e dissezione ascellare ,e poi successivamente ,qualche ciclo di chemio. Purtroppo non fu così. Ero che poteva anche non finire così,però speravo che non lo fosse. Passarono 12 giorni,dal primo intervento,mi ero ripresa abbastanza bene,nonostante il dolore atroce che avevo sotto le ascelle,e il braccio che mi sarebbe rimasto invalido per sempre. Non potevo fare più fare i movimenti come prima,non potevo fare sforzi,insomma dovevo accettare la situazione. La dottoressa gentilmente consigliòdi fare di fare subito riabilitazione,ed io subito l’ascoltai.
Tutto sembrava svolgersi per il meglio, mi ero ripresa bene dall’intervento, sembrava essermi tornato il sorriso, quando un giorno, lo ricordo come fosse ieri, stavamo pranzando quando squillò il telefono. Era la dottoressa che voleva parlarmi,  non al telefono, di persona. Capii subito che qualcosa non andava e, quando la vidi, cercai di rivedere il suo sorriso, mi sforzai, ma non lo vidi; scrutai nei suoi occhi, ma  avevano timore di incrociare i miei. Fu allora che capii tutto. La dottoressa, gentilissima come sempre e dolcissima, cercava in tutti i modi di comunicarmi come stavano realmente le cose. Quel momento lo ricordo con tanta tenerezza: lei parlava, parlava, ma non riusciva ad arrivare al dunque. Fu allora che presi la parola e dissi:-“ Dottoressa, devo fare la mastectomia?”- lei annuì. La prima cosa che mi venne da dire, fu:-“Se tutto questo ha un senso vada per la mastectomia, altrimenti lasciamo che le cose facciano il loro percorso”. Mentre dicevo quelle parole, pensavo alla morte; mi sembrava di sentire gia’ la sua presenza. Nonostante ciò, la dottoressa mi rassicurò, e ancora una volta sentii pronunciare quella frase: <<Lo risolviamo>>. Improvvisamente i suoi occhi si illuminarono e vi lessi la speranza.
Ero ormai distrutta moralmente; mi rendevo conto che la strada era lunga e tortuosa e le energie mi stavano abbandonando. Mi chiedevo se psicologicamente avrei retto a tutto questo ma, nel frattempo, intorno a me tutto procedeva come sempre; la vita scorreva senza piu’ accorgersi di me, perche’ mentre per gli altri continuava, per me sembrava fermarsi. Ero arrabbiata con me stessa, non mi riconoscevo più e per giunta sapevo che da lì a poco avrei subito una mutilazione al seno a soli 39 anni. Sentivo di non appartenere più alle persone normali, ormai da lì a poco sarei entrata a far parte delle persone malate.
Come mi sentivo umiliata come donna, come mamma, e come moglie.
Ormai non sapevo più qual’era il mio ruolo e  i sensi di colpa facevano parte della mia vita. Mi dicevo che per colpa mia facevo soffrire la  famiglia; quante preoccupazioni!
Mio marito lo vedevo sfinito e dato che io avevo abbandonato completamente il mio ruolo di madre,  tutto il peso della famiglia ricadde su di lui.
Sapevo che per lui era una situazione insostenibile, ma per fortuna ebbe il sostegno morale e materiale della sua famiglia ( la madre e le sorelle) che durante tutto il calvario hanno contribuito a sostenerci.

6 settembre 2006


La dottoressa mi presentò il chirurgo plastico, il quale mi spiegò quale sarebbe stato l’andamento dell’operazione. Quel giorno feci una mastectomia con ricostruzione. L’intervento durò moltissime ore e per fortuna andò tutto bene.
Ricordo il risveglio: non avevo il coraggio di guardarmi, sentivo dei dolori atroci e mi sembrava di avere un mattone al posto del mio seno.
Quante lacrime! Ero ferita, avrei voluto morire.
Non potrò mai dimenticare mio marito, al capezzale del mio letto, silenzioso; aveva persino paura a chiedermi come stavo, ed io non avevo il coraggio di guardarlo perché sapevo di arrecargli molta sofferenza.
Ormai la sofferenza, il dolore, la paura , l’umiliazione,  facevano parte della mia vita.
Ho pregato tanto che tutto ciò si rivelasse solo un brutto sogno e che prima o poi mi sarei svegliata e tutto sarebbe ritornato come prima, ma non fu così. Per riprendermi fisicamente dovette passare un mese, un mese durante il quale conobbi dolori ancora più forti. Il mio corpo doveva abituarsi ad accettare la protesi. Che fatica accettarla; avevo qualcosa che non era mio, non mi apparteneva: dura fredda insensibile, in poche parole, una cosa morta.    
Per l’ennesima volta mi sentii umiliata e durante quel mese di convalescenza fui costretta ad essere aiutata di contino: dovevano aiutarmi ad alzarmi dal letto, a vestirmi, a lavarmi, a pettinarmi. Insomma, tutti quei movimenti e quelle azioni che prima mi sembravano normali,  ora improvvisamente erano diventati un peso.
Il mio corpo piano piano mi stava abbandonando e in quei momenti cominciai a pensare a quella croce che Gesù dovette portare sul suo calvario. Si! Mi vedevo come lui: debole, sofferente, sfinita e con questa grande croce da portare( il mio dolore).
Ho sperimentato nella mia sofferenza il suo dolore e non mi sono mai sentita così tanto vicina a lui come in quei momenti.
Intanto c’erano persone che si prendevano cura di me, non mi hanno mai abbandonata e mio marito, nonostante tutto, cercava sempre di farmi sorridere.

 

6 ottobre 2006


Questa fu la data che segnò ancora di più la mia vita, in quanto iniziai la chemioterapia. Mi ero appena ripresa dall’intervento, allora stavo iniziando a risollevarmi che tutto precipitò di nuovo. Feci 8 cicli di chemio;  mio Dio che esperienza. Non ci credo ancora di essere riuscita a superare anche questa prova.
All’inizio mi dicevo:-“che sarà mai, ho affrontato due interventi, e ora devo abbattermi per una chemioterapia?”   
I primi 4 cicli furono in day- hospital. Fatto il primo ciclo, non era cambiato poi molto, ma già dl secondo cominciò la mia lenta trasformazione.
Iniziai a perdere i capelli. Io li avevo lunghi, bellissimi! Mi avevano consigliato di tagliarli ma io, testarda, mi rifiutai. Mi dicevano di non preoccuparmi perché mi sarebbero ricresciuti e dentro di me pensavo:-“per voi è facile dirlo! Voi li avete i capelli, io non più!”.
Pian piano mi sembrai un mostro e chiusa nella mia stanza pensavo:-“non ho più il mio seno, non ho più i miei capelli, le mie forze mi stanno abbandonando, cosa perderò ancora? Come faccio a farmi vedere ridotta così dai miei figli e da mio marito? Avranno pena di me”. Sentivo l’odore della chemio, mi disgustava, ma un po’ tutto mi nauseava, e per i prime 7 giorno erano nausee e vomiti continui.
Ricordo che non volevo vedere nessuno e anche quando i miei figli tornavano da scuola per abbracciarmi io consigliavo di lasciarmi stare sola.
Durante la chemio io mio braccio era diventato pieno di buchi; prelievi continui, punture sotto pelle, cortisoni, insomma ero diventata medicina dipendente.
Intanto quante donne ho incontrato e ognuna con il proprio dolore; tuttavia era molto bello confrontarmi con loro.
A me sembrava che in quel modo per un attimo la mia sofferenza si alleviava, perché mi sentivo capita.
In quei giorni mi ero fatta una vasta collezione di foulard, ognuno con un colore diverso per poterli abbinare a diversi pigiami, ed escogitai un modo diverso di portarlo: anziché portarlo corto, lo lasciavo lungo, in modo che scivolasse dietro la nuca e simulasse i capelli. Piano piano cominciai a truccarmi, mi disegnavo le sopraciglia e cercavo di nascondere le occhiaie.
Certo se mi avesse visto il regista Dario Argento, mi avrebbe presa per uno dei suoi film di paura, ma cercavo comunque e in tutti i modi di risultare piacevole e solo curandomi potevo giungere a questo.
La chemio sembrava non finire mai. E’ stata lunga ed il ciclo più brutto fu il quarto, non potrei mai dimenticarlo. Ricordo che rimasi senza mangiare e bere per più di una settimana; avevo perso tue le forze e confesso che credevo di non farcela per quanto ero sfinita. Avevo toccato il fondo. Fu proprio in quei momenti che ebbi una visione diversa di me stessa, ho avuto un incontro con la mia interiorità più profonda e mi resi conto che il corpo non mi rispondeva più, ma io continuavo ad esserci, la mia anima c’era. Che strana sensazione! Non mi importava più del mio corpo, poiché ero in contatto con qualcosa di più profondo, di più intenso “i mio IO”.
Mi abbandonai a tutto questo e sinceramente credevo mi fosse rimasto poco tempo, così, presi la coroncina del rosario, la strinsi forte a me e dissi:-“mi affido nelle tue mani, mio Dio aiutami” e poi, mi addormentai.
Non pensavo l’indomani di risvegliarmi. In efetti ero priva di forze. Ricordo mio marito sconvolto, non sapeva cosa fare. Ormai il mio corpo non riusciva più ad assimilare niente, ero disidratata, così mio marito informò i medici, i quali dissero “se la signora entro due ore non reagisce al cortisone, la porti d’urgenza, la ricoveriamo perché ha bisogno di liquidi”.
Per fortuna il mio corpo reagì, grazie soprattutto alle cure continue e le suppliche di mia cognata, che mi pregò di ingerire un cucchiaio di minestra.
Gli ultimi 4 cicli di chemio li affrontai meglio. Terminai l’8 marzo, sarà un caso? La festa della donna. Com’ero felice quel giorno, dicevo:-“ e’ finita! Anche questa è fatta”- ora mi restava fare solo alcuni controlli, e prima di andar via, salutai le infermiere. Come sono state brave! Gentili, disponibili, sempre con il sorriso. Ormai facevano parte del mio percorso e quasi mi faceva tristezza doverle salutare.


Tornare a vivere

Credevo che ormai il tutto era fatto,e che non mi restava altro che tornare a vivere ,il che significava di riprendere il ruolo che per un anno avevo abbandonato. Ebbene ,non fu così semplice,non mi riusciva più,tutto ciò che mi circondava,sembrava non mi appartenesse più. I figli li sentivo lontani ,non riuscivo a tenere in mano la situazione,mi sentivo di troppo,ingombrante,tutto mi sembrava estraneo. Mio marito mi diceva di non preoccuparmi,perché tutto sarebbe tornato come prima,ma proprio questa frase < come prima >  non mi suonava bene. Ben presto mi resi conto mi resi conto che non era estraneo tutto intorno a me ,tutto era rimasto come l’avevo lasciato ,ero io che ero cambiata. La malattia mi aveva lasciato un vuoto di cui non riuscivo a colmare. Intanto i giorni passarono ed io mi sforzavo di capire,mi dicevo < sto impazzendo>  sentivo nostalgia dell’ospedale delle persone malate e si perché io mi sentivo bene solo vicino a loro. Arrivò il giorno del controllo,la dottoressa mi visita io ero nervosa, arrabbiata e lei avvertì le mie sensazioni e mi consigliò un percorso con la psiconcologa e fu così che incomincia il lungo viaggio della ripresa. Mi trovai subito bene,ero a mio agio. Inizialmente provai un po’ di difficoltà ad aprirmi con lei riguardo le mie sensazioni e le mie emozioni più profonde, ma pian piano mi abituai all’idea.
Intraprendere questo percorso fu per me una sensazione di sollievo, era bello vedere che qualcuno era lì pronto ad ascoltarti; potevo dire tutto, e mi sentivo capita. Parlare con lei mi aiutò a comprendere molte cose e soprattutto che non stavo impazzente ma le mie reazioni erano del tutto normali. Questo viaggio mi ha portato ad una visione più chiara della vita. Capì che era inutile sentirmi sempre in colpa, infondo io non ho mai desiderato la malattia e con questa consapevolezza sono riuscita  a prendere una visione più chiara anche di me stessa.
Sembrava che la mia anima fosse divisa in due: una parte di me desiderosa di tornare a vivere, e un’altra che voleva restare tra i malati.
Iniziai a guardarmi intorno e a ripetere a me stessa come sia stata fortunata, infondo continuo a vivere; che bella sensazione! Ho cominciato ad apprezzare tutto, anche le cose più banali, e tutto ciò che prima davo per scontato ora sono fonte di continuo apprezzamento da parte mia, poiché mi resi conto che basta poco, e tutto scivola via, come la mia stessa vita.
Ben presto tornai alla mia vita di sempre, ovvero la madre e la moglie; tuttavia dentro me avevo una consapevolezza diversa: nulla mia appartiene. Tutto prima o poi svanirà compresa la mia vita.
Ogni mattina quando apro gli occhi mi dico:-“oggi è un nuovo giorno e voglio godermelo fino in fondo”. ho capito l’importanza di prendermi i miei spazi, ad assaporare il silenzio e ad apprezzare la solitudine; prima mi spaventava tutto questo e ho scoperto che non c’è compagnia migliore di me. Inoltre ho sperimentato che non c’è niente di più bello che leggere un bel libro.
Ho imparato ad amarmi, a curarmi di più! Sembra un paradosso ma mi rendo conto di essere e sentirmi più donna ora di quanto non lo sia mai stata. La malattia, nonostante la sua negatività ha alimentato la mia ricchezza interiore; è proprio vero: nel dolore c’è la chiave della gioia!...solo ora capisco!
Sono consapevole del fatto che la malattia potrebbe manifestarsi nuovamente, ma non voglio attribuirle un peso enorme; in quanto sono consapevole che come l’ecosistema comprende il sole, la terra la natura gli uomini…così la vita comprende la gioia, l’amore, il dolore, la malattia e la morte.
Non vivo quindi di false illusioni; il segreto sta proprio nell’accettare tutto questo.
Il senso della vita è amare: si vive per apprendere l’amore in tutte le sue manifestazioni.
Durante la malattia posso affermare di essermi sentita molto amata. Ho ricevuto tanto e ora voglio donare tanto, sia agli altri, sia a me stessa. Il Signore mi ha donato un marito straordinario, che, nonostante tutto, è riuscito sempre a regalarmi un sorriso.
La famiglia mi è stata vicina e poi, quasi da cornice a tutto questo, come potrei dimenticare i medici? Ringrazio la dottoressa G. G., chirurga senologa, il dottor G. S., chirurgo plastico,  e la dottoressa M. G., psico-oncologa, che ha contribuito tanto nella ripresa;le infermiere, sempre gentilissime.
Un grazie a tutti di vero cuore.

Martedì 07 Agosto 2012

Ospite: Testimonianza IRIS CB.”Il coraggio delle...

Testimonianza IRIS CB.”Il coraggio delle donne” 

Dovunque la vita è piena di eroismo. Ed è vero!

Era di domenica mattina, dopo il cambio turno degli infermieri. Il sole inondava delicatamente la sala di attesa del quarto piano della Cattolica, ed una leggera brezza muoveva appena la tenda  a fasce verticali. Non c’erano persone né nella  sala né nei corridoi. Aspettavo  l’orario per  far visita ad una persona ricoverata. Soltanto una donna delle pulizie in lontananza, ogni tanto faceva capolino da una stanza per poi sparire di nuovo con i suoi attrezzi.

C’era una calma insolita , leggera ; e guardando il paesaggio innevato e scintillante  che dalla finestra si poteva vedere, quasi non si percepiva piu’ di essere in un ospedale.

Ad un tratto apparvero inaspettatamente  una signora ed un bimbo di circa 5 0 6 anni.  Provenivano  da uno dei due reparti  del piano e dopo un breve percorso in corridoio  entrarono  nella saletta di attesa, dove mi trovavo, e si disposero attorno ad uno dei tre tavoli là presenti.  Parlavano pacatamente ; erano madre e figlio.

Per il silenzio che regnava nel luogo e per la relativa  breve distanza che intercorreva tra me e loro, ascoltai  alcune delle frasi che si scambiavano .

La signora era nella classica tenuta delle persone ricoverate  e sul braccio destro ,sotto l’orlo della manica, si intravedeva il bianco di una garza e la presenza di un sondino. Mi colpiva la calma serena con cui i due dialogavano, e la  indifferenza al luogo dimostrata  dal  bimbo. Infatti normalmente  i bambini sono particolarmente curiosi verso ogni cosa ,  quando si trovano per la prima volta in un ambiente. Invece quel  bimbo rimaneva  seduto di lato alla madre e mentre  le parlava, sfogliava lentamente una rivista che si trovava su  quel  tavolo,  ciondolando ritmicamente la gamba sospesa  al bordo della seggiola . Certo doveva essere  stato molte altre volte in quella saletta, perché  conosceva bene anche la rivista che sfogliava.

Ad un certo punto la mamma chiese al bimbo  cosa  aveva  mangiato a colazione e se avesse  ancora fame .

Il bimbo diede brevemente la risposta ed a sua volta le domando’ ” Mamma cosa hai mangiato a  colazione?” La mamma allora elenco’ tante cose, dando l’impressione  di averle assaporate tutte con molto gusto. Il bimbo ascoltava , girava i fogli  e le rivolgeva sguardi fiduciosi , come ogni bimbo ripone assoluta fiducia in tutto quello che la madre gli dice. Poi la donna gli rivolse una nuova domanda”Raccontami come è andata la festa dell’ultimo di  Carnevale a casa di Lorenzo? Quanti dolci  hai mangiato?”. Il bimbo rispose due o tre cose e poi di rimando chiese” E tu mamma cosa hai mangiato a Carnevale?”. A questo punto la donna fece  un elenco di portate certamente non distribuibili in  un reparto di oncologia, ma il bimbo non percepi’  la dirompente differenza che c’era tra il significato delle parole della madre ed il linguaggio non verbale che promanava dalla madre stessa  e dall’ambiente circostante. Dopo aver ascoltato tutti quei particolari, il bimbo esclamò  con la purezza dell’innocenza. “ Mamma ma come hai fatto se hai detto che mangi con quel tubicino?”.

Allora la mamma con una pacatezza ed una dolcezza che solo le mamme posseggono, guardo’  attraverso le vetrate ed accennò ad   un ammalato che avanzava lentamente con una vistosa  sacca color alluminio appesa ad una di quelle aste  con carrello. Disse al figlio “Vedi ,  hanno messo tutto in una sacca come quella e poi io ho preso tutto “.

Il bimbo diede uno sguardo fugace  e non replico’ , e la  mamma  passo’ subito ad un altro argomento. “Dimmi un poco, papà ti  mette sempre la crema su questa guancia?” e lo accarezzò delicatamente. Il bimbo rispose a bassa voce. La madre lo accarezzò ancora molte volte nei capelli con la mano  e con  parole bisbigliate, ed il bimbo continuò  a sfogliare  tranquillo la rivista Natural  Geografic.

Mi allontanai, perché ero profondamente turbato  e provavo una grande commozione.

Riflettevo  in silenzio come solo una madre poteva reggere ad una situazione tanto dirompente con una pacatezza ed una  serenità,  che possono provenire  soltanto da una immensa  forza d’animo e da un grandissimo coraggio.  Il coraggio delle donne appunto!

 

Lunedì 06 Agosto 2012

 

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